Quest’anno ho deciso che per il mio compleanno mi sarei fatto un regalo speciale. Qualcosa che rimando da troppo tempo. Ho deciso di prendermi cura di un’amica che mi accompagna da 28 anni: la mia prima vera chitarra. È un’acustica che comprai con i soldi della mia prima borsa di studio. Era il 1989 e decisi che anziché spendere quell’assegno in libri, mi sarei comprato una chitarra vera. Feci il giro di tutti i negozi di Via San Sebastiano a Napoli e ne provai tante. Non potevo permettermi di sbagliare perché non avrei avuto una seconda occasione. Dopo una lunga serie di tentativi, imbracciai quella Ibanez e mi fermai a suonare per un’ora sotto lo sguardo seccato del commesso. Era lei.
Da allora siamo diventati inseparabili e anche se da circa 10 anni, quello strumento è rimasto nella sua custodia, perché il manico troppo consumato rendeva scomodo suonarlo, ogni tanto lo tiravo fuori e mi sembrava di sentire vecchie voci di studenti, odori di fumo e di locali che frequentavo.

Così, qualche giorno fa, prendo appuntamento e porto la chitarra dal medico. Un bravo liutaio che per l’occasione avrebbe dovuto farmi un preventivo per sistemare, oltre al manico, anche una serie di segni sparsi un po’ ovunque.

Mentre esaminiamo insieme la chitarra, mi capita di riconoscere ogni singolo graffio, ogni minima scheggiatura sul corpo della chitarra. Quei tre punti vicino al ponte li feci una sera che ritmando con il polso ero convinto di avere il mio vecchio bracciale in cuoio e invece era quello nuovo di metallo che mi aveva regalato la mia fidanzata di allora. Mi torna alla mente tutto, gli amici, il posto, le pile di libri da studiare, le sensazioni di allora… Quel graffio alla base del manico, invece, lo fece donna Emilia mentre spolverava. Era una vecchina semicieca che veniva a fare le pulizie in casa degli studenti e che noi pagavamo non perché fosse brava e diligente, ma perché aveva bisogno di quelle ventimila lire per fare la spesa.

Ne vedo altri di segni e adesso che sto per chiedere se esiste un modo per cancellarli, mi rendo conto che non va fatto. Non posso.

Sistemiamo solo il manico per poterla suonare di nuovo e lasciamole il corpo intatto. “È un gran bello strumento,- mi dice il liutaio. -È invecchiata benissimo! Fai bene a lasciarla così, dopotutto ci sono voluti 28 anni per ottener questo risultato”. È proprio così, i segni del tempo sono la nostra storia. E poi i miei capelli bianchi si sposano benissimo con i graffi della mia prima chitarra e non c’è davvero nessun motivo per nasconderli.

Di Salvatore Viola

Scrivo per professione e scrivo per piacere, ma scrivo anche perché ho la tremenda necessità di farlo. Il mio lavoro? Faccio tante cose, ma sono prima di tutto un padre e cerco di esserlo nel migliore dei modi possibili, ovvero provandoci senza sosta.

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