Le mani di mio padreLe mani di mio padre

È stato un viaggio lungo. Dalla laboriosa Lombardia alla solitaria Lucania. Auto, navetta, imbarco, volo, auto, ricordi, arrivo.

Le lacrime di mia madre che mi bagnano le guance sono un distillato di gioia. Riesco a comprenderlo in pieno solo adesso che sono genitore anche io. “È dentro”. Mi dice, indicandomi la porta.

  • Giuseppe, guarda chi è venuto a trovarti…

Mio padre è sdraiato sul divano. Ha lo sguardo perso. Mi guarda. Si stacca il tubo dell’ossigeno e il suo viso si illumina.

  • È Rocco! Tuo fratello! Da quanto tempo non ti vedevo! Rita, fallo sedere…
  • Non è Rocco, guardalo bene…
  • Papà sono Salvatore, sono tuo figlio…

L’espressione di mio padre è confusa. Ma poi sorride, come uno che ha appena capito lo scherzo.

  • Rocco, tua sorella mi prende sempre in giro!
  • Papà, sono Salvatore… Ma non preoccuparti. Io resto qui qualche giorno e vedrai che staremo bene lo stesso.
  • Devo andare al negozio – mi dice, a bassa voce. – Tua sorella non mi fa alzare, ma io devo consegnare delle scarpe. Ho preso un impegno. Ho tante riparazioni e devo farne due paia nuove. Sono giorni di festa. Non posso far andare le persone con le scarpe rotte. Un paio devo farle per un bambino. Gli farò degli scarponcini a mezza caviglia, marroni. Gli faccio la soletta più leggera e la tomaia di vacchetta morbida così può correre meglio e ci metto anche un rinforzo alla punta. Vedrai come sarà contento quando le vede…
  • Ne sono sicuro – gli dico. Ma adesso riposati.
  • Non posso. Devo pure andare a pagare il ristorante. Dopo il pranzo del matrimonio siamo subito partiti in viaggio di nozze. Che figura! Mi tenete qui, ma io devo alzarmi… Come stanno Silvia e Annamaria?
  • Stanno bene. Ti salutano… Ci passo io al ristorante, non preoccuparti. Mi hanno detto che puoi andare a saldare il conto tranquillamente dopo le feste.
  • Meno male. Anche mamma mi ha detto che passava lei. Adesso è andata all’orto a raccogliere le cime.
  • Che bello! Allora oggi mangiamo le orecchiette…
  • Sì. Come le cucina lei…

 

Tira un sospiro di sollievo. Gli rimetto l’ossigeno. Adesso sento che è affaticato. Chiude gli occhi e lentamente si addormenta. Gli stringo le mani e mi siedo vicino a lui. La sua pelle è liscia come quella dei signori. Le sue mani non sono mai state così morbide. Mio padre aveva le mani piene di calli. Erano dure e forti. Da bambino pensavo che le mani di un papà erano tutte così, fatte di corteccia dura, come una corazza, per proteggerti da tutto e da tutti.

Adesso è lì, debole e indifeso. La sua mente non si rassegna all’invecchiare del corpo. Continua a rivivere gli anni più giovani della sua vita. Mentre dorme, mio padre corre, lavora, fa un milione di cose. Va a Napoli a comprare i finimenti per la sua bottega da ciabattino e ritorna con un regalo per me e per i miei fratelli. Va nel bosco a trovare funghi e a fare la legna per il fuoco e mi porta un forcella perfetta per una fionda. Corre al frantoio a sentire l’odore inebriante dell’olio del nostro uliveto. Parla con sua madre, con sua moglie e i suoi fratelli, con i suoi clienti e gli amici…

Restiamo così per un po’. Lui dorme, io memorizzo le sue rughe.

Poi si sveglia. Apre gli occhi e mi guarda.

  • Salvatore! – Mi dice. Quando sei arrivato? Rita hai visto che è venuto a trovarci!

Allarga le braccia e lo stringo. Restiamo in silenzio. C’è una lacrima fra le nostre guance. Buon Natale papà.

Di Salvatore Viola

Scrivo per professione e scrivo per piacere, ma scrivo anche perché ho la tremenda necessità di farlo. Il mio lavoro? Faccio tante cose, ma sono prima di tutto un padre e cerco di esserlo nel migliore dei modi possibili, ovvero provandoci senza sosta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *